“Nessun uomo è un’ isola, completo in se stesso, ognuno è un pezzo di un continente, una parte di un tutto” scrive il poeta John Donne.
Ogni essere umano si trova ad affrontare prima o poi la solitudine. Il rapporto con la solitudine è personale ma a volte possiamo sentirci soli e non sapere come gestire questa condizione.
La solitudine è spesso associata a qualcosa di negativo, ad una forma di insicurezza, di paura, spesso viene vista come un campanello d’allarme per tristezza e depressione.
Bisogna però fare una distinzione tra l’essere effettivamente soli e sentirsi soli. La prima è una forma di solitudine oggettiva e può avere o meno effetti psicologici sulla persona. La seconda ha invece a che fare con la percezione soggettiva dell’essere soli ed è più rilevante per l’individuo. Ci si può infatti sentire e percepire soli in mezzo a tanta gente, iperconnessi sui social e vivere lo stesso un’effettiva condizione di isolamento.
Sempre più connessi, sempre più soli
Quando comunichiamo, gli scambi emozionali avvengono prevalentemente a livello di comunicazione non verbale .
Nella comunicazione social gli aspetti non verbali vengono a mancare. L’attivazione delle nostre emozioni primarie come la paura, il dolore, la rabbia, la gioia, passa prevalentemente dai sensi, perché le emozioni hanno bisogno dell’esperienza percettiva. Invece, nello scambio virtuale tramite messaggistica, tutto ciò che a fare con il tatto, l’odorato, la vista, viene alterato.
Facile allora che si sviluppi una relazione morbosa con lo strumento tecnologico e un aumento della solitudine percepita. Basti pensare a tante psicopatologie da cyber-dipendenza le quali, tuttavia, sono solo la punta dell’iceberg di questo fenomeno. Va anche detto che la responsabilità di tutti gli effetti della tecnologia non sia della tecnologia stessa, ma dell’uso che ne viene fatto.
Tuttavia, un uso inadeguato o compensativo dei social network produce un effetto paradossale: più si cerca di sfuggire alla solitudine, più la si incontra.
Insicurezza e solitudine
Percepirsi insicuri ha molto a che fare con il sentirsi soli.
Se mi vedo insicuro, saranno molti di meno i tentativi che farò per aprirmi alla vita e alle relazioni, andando così ad alimentare ancora di più la mia solitudine, in una spirale sempre più crescente.
Da bambini possiamo aver appreso l’incapacità di entrare in relazione quando ad esempio siamo stati giudicati o ignorati dai nostri genitori che non ci hanno saputo dare l’affetto e la vicinanza di cui avevamo bisogno.
Anche da adulti, in seguito ad un trauma, ad una separazione, ad un lutto, oppure ad un periodo di cambiamenti a livello personale e familiare, non di rado si tende a stare da soli e a perdere fiducia negli altri.
Potremmo aver sviluppato uno stile di attaccamento evitante, ossia la tendenza ad evitare il contatto con le nostre emozioni per allontanare le possibili angosce che derivano da un rapporto più profondo con un’altra persona, un amico, un partner. Ecco che si evitano situazioni potenzialmente dolorose per paura di soffrire e come unica alternativa alla propria sopravvivenza emotiva.
I sintomi di questo stile di attaccamento sono spesso ansia, attacchi di panico, ipersensibilità alla critica, depressione, bassa autostima, senso di inadeguatezza, paura di sentirsi rifiutati, criticati.
Stare da soli per stare meglio con gli altri
Seneca scrive che «il saggio basta a sé stesso», ma non perché vuole stare solo, bensì perché grazie a ciò, è in grado di rinunciare a tutto ciò che non vale la pena di essere vissuto. Questo gli permette di circondarsi delle persone a lui più affini e con le quali sviluppare costruttive relazioni.
Così come è vero che chi non si sa stare da solo non sa stare con nessuno, è anche vero che lo stare da soli può essere un momento creativo, una tappa fondamentale per rallentare, per ritrovare il proprio equilibrio.
Imparare a stare bene con sé stessi è il primo passo per uscire dal circolo vizioso di insicurezza e solitudine, angoscia e solitudine.
Talvolta potrebbe essere utile intraprendere un percorso psicologico qualora vi siano condizioni patologiche e limitanti, per aumentare la propria autostima e modificare le percezioni apprese.
L’autostima, infatti, non è un dono naturale ma è una conquista che passa attraverso l’esperienza di vita, attraverso il superamento di ostacoli e frustrazioni per realizzare i propri desideri più profondi.